“Ricordo bene quel giorno. Ero ancora galvanizzato dalla vittoria con la Nazionale della settimana prima all’isola di Rodi. Non ero mai stato in Grecia e ricordo che al ritorno facemmo un lungo scalo ad Atene e con Enzo Del Forno decidemmo di prendere un taxi per fare un giro della città e andare a vedere l’antico stadio delle Olimpiadi. Fu un’emozione talmente grande che rischiammo di perdere il volo di ritorno.
All’Arena di Milano il 7 settembre 2000 tutto sembrava andare per il verso giusto, d’altronde avevo le scarpe di Sotomayor. Ero infatti venuto in possesso di un prototipo fatto a posta per Javier che proteggeva la caviglia di stacco e che il campione e idolo cubano aveva utilizzato in prova in allenamento. Quando Ivan Bernasconi e i gemelli Ciotti sbagliarono i 2.25 capii che era il momento giusto per piazzare la zampata vincente. E fu così che ancora teenager (come disse Bragagna) mi ritrovai Campione Italiano assoluto.
Dopo la gara il mio allenatore, Mario Gasparetto, tornò a Udine, ma io che mi ero meritato un po’ di pausa dagli allenamenti, fui affidato a un veterano come Luca Toso che ben sapeva muoversi nella metropoli lombarda.
La settimana successiva a Udine presso la trattoria “alle Volte” organizzammo un brindisi con tutti i saltatori campioni friulani come gli stessi Toso e Del Forno, ma anche Bruno Bruni e Massimo Di Giorgio. Fu in quella occasione che conobbi il maestro Ovidio Bernes.
Oggi a distanza di 20 anni, la sensazione che diventa consapevolezza è che quella storia di un teenager partito da Udine con le scarpette regalate da Sotomayor, fatta di tanti piccoli eventi e aneddoti, sia stato l’inizio di una avventura incredibile.”